Teatro di regia è un ossimoro
Quando sentiamo la parola "spettacolo", inevitabilmente l' immaginario vira verso la zona del cosiddetto "intrattenimento".
La nostra mente corre, cioè ai varietà del sabato sera, ai musical, fuochi artificiali, lustrini e paillettes, tutto quel che in qualche modo è rappresentazione eclatante e vistosa, tesa allo svago.
Ma esiste anche una forma di spettacolo "serio", "impegnato", uno spettacolo fatto di contenuti oltre che di forme. E' lo "spettacolo di regia", che si differenzia dallo spettacolo perché assume caratteri e canoni diversi; tematiche sociali, civili ed esistenziali, forme più dirette (ci si rivolge molto al pubblico) e toni più cupi. Naturalmente il concetto di regia si evolve, cambia forma, si modernizza.
C'è una regia moderna (qualcuno credo avvertirà il vecchiume che la parola "moderno" porta con sé).
Una regia, cioè che si adegua agli ultimi e più "moderni", ritrovati e dettami teorici.
Mi riferisco, per esempio, alle linee portanti del cosiddetto teatro "postdrammatico", tracciate da Lehman ormai una buona quindicina di anni fa. Moderne, infatti.
Miscugli di forme, linguaggi, generi, testi (sintetizzo così, brutalmente, perché se no perdo il filo). Dunque abbiamo un intendimento formale "nuovo", cioè diverso da quanto si è praticato in maniera massiccia sino a vent'anni fa.
Ma, ancora oggi (e chissà per quanto ancora), come nelle più stantìe tradizioni di teatro classico, ogni tono, ogni movimento, ogni pausa, ogni colore viene praticato centinaia di volte (in prova) per far sì che lo si possa "fissare" nella maniera più consona (quella, cioè che soddisfa le aspettative formali del regista o dei registi).
Accade così che l'atto drammatico, grazie ad una tenace ed ostinata operazione di (congelamento della forma) fissaggio, viene prosciugato di qualsiasi possibile spunto vitale.
Nulla può più accadere in presenza del pubblico (a meno di qualche fortuito incidente), rimane soltanto un'ammirevole (quanto inutile) e spasmodico impegno "muscolare".
Es.: L'attore, in proscenio, rivolto al pubblico (nel rivoluzionario atto di abbattimento della quarta parete!) dice le sue battute, facendo attenzione a mescolare un po' di recitazione canonica e un po' di non-recitazione.
Ci mette qua e là anche un sorrisino (che è dell'attore e giammai del personaggio) che è come dire "non penserete mica che io sono convinto di essere un altro da me! Guardate che sono un attore che cita un personaggio, non c'è mica immedesimazione alcuna!"
Bene, non è un pensiero sbagliato, è una forma molto interessante, una bella sfida, un intendimento che condivido in pieno. Ma cosa accade?
Perchè non funziona? Perché si sente puzza di muffa? Perché non si avverte verità alcuna? Forse perché si tratta ancora e sempre di una mera "costruzione"?
Forse perché quel sorrisino non è nato nel momento in cui io ero presente, ma è stato fissato in mia assenza e dunque elude il senso del teatro, e cioè la condivisione dell'atto? Forse perché si continua a lavorare sulle forme e sui contenuti, fissandoli prima (nella solitudine delle prove) e mostrandoli poi ormai cadaverizzati?
Va detto, per onestà, che una costruzione spettacolare (di svago o d'impegno che sia), può anche essere molto interessante, bella e persino emozionante ma perché non chiamare le cose col loro nome?
Spettacolo: ha necessità di inventare forme.
Teatro: ha necessità di catturare forze.
Lehman stesso in un breve appunto, scritto quasi en passant, dice che da un impianto postdrammatico ne potrebbe anche scaturire uno spettacolo "drammatico" e viceversa.
Rende dunque partecipe il lettore di una sua ulteriore e non approfondita sensazione.
Un avvertimento, dunque, un sentire di "spectator".
Ecco, io credo, invece che è proprio questo il nodo che bisognerebbe provare a sciogliere.
Dovremmo chiederci : ma perché da un impianto postdrammatico ne potrebbe anche scaturire uno spettacolo "drammatico" e viceversa? Da cosa può essere causata un'eventualità di questo tipo?
Qual'è quell'elemento estraneo che può entrare a sconvolgere qualunque disegno, forma o linguaggio?
Non vogliamo chiamarlo "teatro"?
E come allora?