Improvvisazione e stato di grazia
Sono abbastanza convinto che attraverso la pratica dell’improvvisazione si possano attraversare stati di grazia.
Per stato di grazia intendo una perfetta comunione con tutto il circostante, persone e cose.
Peraltro so bene che il contrario dell’improvvisazione sortisce sempre un grande effetto, un effetto garantito.
Per contrario dell’improvvisazione intendo quella sorta di trance che ciascuno di noi si può procurare attraverso la ripetizione
ad libitum.
Questo tipo di pratica produce a lungo andare un livello di automatismo tale che, associato alla capacità di autosuggestione unita all’assenza di dubbio, può far sfiorare la trance.
Ma si tratta di una trance
agonistico-emozionale, qualcosa cioè, che ha più a che fare con la prestazione sportiva che non con l’atto d’arte.
Come dicevo questo tipo di prestazione suscita sempre grande ammirazione, può persino emozionare di quell’emozione momentanea che si prova di fronte a un fenomeno sorprendente.
Ma in questo caso succede che l’attore esibisce la sue capacità e lo spettatore le fruisce, un onestissimo scambio di compravendita, dove chi aliena è nettamente separato da chi acquista (o acquisisce).
C’è anche da dire che se lo spettatore soffre di ateatrìa, confonderà inevitabilmente quella calda prestazione agonistico-muscolare con il teatro tout-court.
Teatro che, invece mio avviso, per potersi dire “arte”, necessita di una qualità di relazione tra attore e spettatore specifica, unica. In una parola “teatrica”, che sia cioè di esclusiva competenza del teatro e di nessun’altra arte o manifestazione dell’essere umano.
Io parlo di improvvisazione, ma dovrei dire “sottile linea improvvisativa”.
L’improvvisazione di cui io parlo non è quell’espediente che viene adoperato in prova per trovare eventuali momenti buoni da “fissare” (e dunque uccidere). Ma quell’attività rischiosa, quella ricerca sul campo, quell’indagine di temi che deve essere condotta in presenza del pubblico.
Poiché trovare prima, imbalsamare e mostrare dopo è attività necrotica, da tassidermista, un'attività che riguarda più che altro la tanatometamorfosi (imbellettamento dei cadaveri).
Il teatro dev'essere respiro vitale, dev'essere ansito (Julian Beck), come il respiro di un bambino appena nato, che si contrappone all’invadenza della morte.
Ecco qui di seguito alcuni tentativi di definizione dell'improvvisazione.
(Sono parole di musicisti, i soli che dell'improvvisazione ne hanno compreso il senso.
La osano, la portano a spasso e la dimenticano, il tutto in presenza del pubblico.
A differenza dei teatranti che la usano come un piede di porco, per vedere se possono aprire qualche porta. Porta che poi, di fronte al pubblico tornerà ad essere irrimediabilmente chiusa).
"L'improvvisazione è la celebrazione dell'attimo" (D. Bailey)
“Qualsiasi tentativo di descrivere l’improvvisazione ne fornirà un’immagine falsa, perché c’è qualcosa di sostanziale, nell’improvvisazione volontaria, che si oppone agli scopi della documentazione e ne contraddice l’idea stessa” (D. Bailey)
“Non si dovrebbe riascoltare un’improvvisazione. Si tratta di qualcosa che, se fosse possibile, si dovrebbe ascoltare, apprezzare o non apprezzare, e quindi dimenticare del tutto”
(S. Hicks)
“L’improvvisazione accetta la sua natura effimera e anzi se ne fa vanto. Per molte delle persone che la praticano, una delle più durevoli attrattive dell’improvvisazione è la sua essenza momentanea, l’assenza di un documento residuo” (D. Bailey)
“A mio avviso il posto della musica è sul limite tra il noto e l’ignoto, ed è verso l’ignoto che bisogna spingerla, sempre. (...) L’improvvisazione possiede qualcosa che ha grande importanza. Si tratta di una freschezza, di una qualità particolare che si può ottenere solo improvvisando; qualcosa che sfugge alla scrittura. Ha a che fare con l’idea di limite. Stare sempre sul confine con l’ignoto, pronti al salto" (S. Lacy)
"Ci sono musicisti (ma anche attori n.d.a.), che considerano come progresso il perfezionamento del “già noto”, di ciò che si sa e non l’esplorazione di ciò che ancora non si sa" (D. Bailey)