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Poesia

Questo è l'ideogramma giapponese per “bocca”.

E’ come una bocca spalancata.

Denota un certo sforzo.

E’ dalla bocca che escono le parole.

 

 

"…Perché le parole vengono troppo tardi, o troppo presto. Perché di fatto è un altro, sempre un altro, colui che parla, e perché quello di cui si sta parlando tace".

 

Da La fine del Titanic di H.M.Enzensberger

 

 

Ecco una lettera di Azzurra D'Agostino:

 

Il poeta, in ogni tempo, ha ben presenti le parole di questo testo di Enzensberger, disperante già dal fatto di esprimere in poesia la menzogna della poesia. E forse, in un tempo come quello attuale, di cui tanto si può dire e si è detto in merito all’impoverimento (del linguaggio, dei rapporti umani, della qualità dello stare insieme e della vita e di tanto altro) è importante che il poeta abbia queste parole ancora così centrali.
Perché la consapevolezza di - in un qualche modo - mentire, ovvero di avvicinarsi solo molto approssimativamente alla verità e alla cosa-da-dire, si carica in lui di un senso particolare. Il poeta che sa di mentire, di mentire suo malgrado, esprime e prova un’inadeguatezza, un sentimento quasi da rapina, un malessere, un’impotenza, che lo rendono completamente altro rispetto a tutti i mentitori da cui è contornato e in cui è immerso. Forse è questa specie di sofferenza nel rapporto col silenzio (meta e orrore contemporaneamente), assieme a questa malattia mortale della parola mancante, della parola sempre fallace, a rendere il poeta un elemento importante nel tempo povero in cui si esalta la parola netta, sintetica, efficacemente comunicativa, la soluzione certa, la semplificazione, l’informazione, la sostituibilità stessa delle parole e delle persone fino allo svuotamento del senso.
Il disagio del poeta verso la sua stessa fallacia lo rende un tassello completamente altro del quadro generale, non il tassello mancante bensì quello stonato, dissonante, imbarazzante. E questo è vero sia per l’inaudito che la poesia è, che per l’inascoltato in cui essa si muove. Del resto al poeta poco importa, in ultima analisi, del problema della fruizione di poesia. Ben più ossessionante per lui è questa menzogna a cui non si sottrae, questo dire che gli sfugge, che tra l’altro oggi si deve dipanare da un presente molto aggressivo e viscido, vischioso.
Il poeta insomma non è diverso o migliore per il fatto di dire la verità. Il poeta è diverso perché sa che non può dirla. Perché sa che le parole che ha sono sì esatte, ma pure mancano. E ciononostante si butta e si arrischia, a tratti ridicolo a se stesso, nel tentativo di aprire comunque il varco a una mela che sia una mela, a una fontana che sia una fontana. Almeno sul foglio, nell’orecchio, come un riconoscere, un attingere a qualcosa di cui si ha una specie di ricordo, mentre la mela che mangia e la fontana da cui beve non sono ormai altro che mera merce interscambiabile. Questo fa di lui qualcosa di spiazzante, interrogativo, misteriosamente incompiuto e per ciò molto umano. Qualcosa di cui infine pare ci sia un grande bisogno, e che dunque lo rende anche un perché in un tempo di povertà (come, forse, in qualunque tempo).
Non bisogna temere il fatto che questa sia una ragione debole, effimera, da contrapporre agli orchi con cui si ha a che fare, non si deve ragionare all’interno della sola logica della forza. Questo poco che il poeta è, questa sfumatura in una tavolozza di colori troppo forti e pacchiani, è quasi tutto ciò che il poeta può. “Eppur questo non basta” diceva Arsenij Tarkovskij, in una poesia di grande forza evocativa su ciò che c’è e ciò che invece resta nel regno del possibile come alterità sempre mancante e pur sempre presente. Il poeta questo lo sa e nondimeno si fa carico della sua, come della altrui, miseria – e non per un merito di chissà quale grandezza: egli lo fa perché non può farne a meno, come si chiude la glottide in un tuffo.

Azzurra D’Agostino

 

 

 

 

La risposta:

 

Penso che ogni artista sappia l’impossibilità del dire e conosca l’amaro che rimane dopo qualunque atto.
Anzi forse no, diciamo che l’attore è l’unico che si permette il lusso, a tratti, di sentire un po’ di dolce, ma non è altro che disperato amor proprio.
Infatti  da una parte non rimane traccia del suo atto compiuto, e dall’altra c’è sempre uno sguardo, un tono o un sentimento che ci dice che forse tutto sto dolce da sentir non c’è.

E poi c’è Jouvet che che ci ricorda che la legge che governa la scena è quella del “rovescio”!

E poi ci sono artisti (?) che non lo sanno, che son convinti che l’indicibile sia dicibile e non solo artisti, ma anche molta scienza e la gran parte delle religioni che non hanno problemi nel dire l’indicibile, ma sanno addirittura il suo nome e  possono financo spiegartelo!

Io chiudo con un grazie e con le parole di Milo De Angelis:

Come nessun turista può spegnere la bellezza di Delfi, nessuno slogan, nessun romanzetto può spegnere la voce dei poeti, essendo irresistibile la potenza del loro sacrificio, il loro perpetuo rendere sacra la parola che noi pronunciamo.  

 

V.Claudienko


 

 

 

Ecco un'immagine che è come una poesia.

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