Per un teatro ancor più povero
Ho come l’impressione che se continueremo a concepire un teatro mutuabile da altre discipline, a modificarne e distorcerne la natura imbastardendolo col mercato, con lo shopping e la spettacolazione, se continueremo a sovrapporre vestiti su vestiti chiamandoli linguaggi, se continueremo ad accumulare farragini senza mai voltarsi indietro, temo che del teatro ne perderemo il seme originario.
Bisognerebbe riflettere.
Bisognerebbe fermare la corsa, l’ansia di emergere, di arrivare, le competizioni, le gare.
Riflettere.
Bisognerebbe che ciascuno si fermasse a riflettere, anche per un solo giorno.
Qua e là leggo parole prese dai libri, senza che abbiano attraversato né cervelli né pratiche.
Astruse parole ad effetto, appiccicate all’arte della scena senza che nulla si sappia di lei.
Vedo manovrare son e lumiere in modi plausibili, ma non appena s’aprono bocche per farne uscire essenze e soffi vitali, cascano asini immensi.
Non esiste il teatro di parola.
Esiste il ritmo.
Esiste un respiro che può farsi parola. Parola è uno dei fondamenti del teatro, poiché suono e immagine son dati anche senza teatro.
Teatro è parola, ma parola è suono che a sua volta è movimento.
Bisognerebbe sapere il principio.
Bisognerebbe riflettere. Conoscere. Decidere. Dire spesso ciò che si fa, ma soprattutto fare sempre ciò che si dice.
Magari non tutti (poiché ciascuno è libero di rimestare dove vuole) ma qualcuno dovrebbe cominciare a rimuovere ruggini. Ruggini vecchie e ruggini nuove. Abbattere impalcature. Tentare di accostarsi all’origine, cercare di non perdere di vista quel seme. Pulire, ripulire e pulire ancora. Sgombrare la scena dalle macerie, ma prima ancora sgombrare teste e coscienze.
Lucidare l’intelletto e farsi respiro.
Bisognerebbe affrontare il problema del teatro in quanto tale, ovvero occuparsi della materia che lo compone, del modo di operarla, del lavoro che essa implica, dei suoi spazi e dei suoi tempi.
Occuparsi del linguaggio vuol dire occuparsi della sua autonomia, sprofondare nell’origine col rischio di affogare.
Preservare l’invisibile seme.