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Drammaturgia

Nella maggior parte dei casi accade che il “dramaturg” sia un autore  letterario che approfitta delle prove per “migliorare” il suo testo, per arricchirlo di letteratura invece di spogliarlo a favore del teatro; ne testa, cioè, la “pubblicabilità”.

Attraverso il lavoro degli attori ha la possibilità di sentire “come suona” il suo testo.

Io immagino il tormento di quando sente che quel testo “suona male”. Di chi sarà la colpa? Del testo o dell’incapacità dell’attore? Uhmmm… un bel mistero!
Dunque, abbiamo visto come un autore letterario, se si sposta in sala prove diventa automaticamente “dramaturg”.
Ma il ruolo del dramaturg dovrebbe, credo, essere un altro.
Innanzi tutto dovrebbe sapere che ciò che lui scrive sarà comunque riscritto dagli attori, con o senza la sua presenza.

 

Ma che cosa vuol dire “scrivere per la scena”?

La peggior drammaturgia è quella che nella testa dello “scrittore” è preceduta dall’incontenibile tentazione di farne la regia.
L’ autore di letteratura teatrale scrive immaginando attori che si agitano sul palco, che snocciolano intonazioni e pause.

Il drammaturgo di cui il teatro ha bisogno, invece, smette di fantasticare sul come deve essere recitato ciò che lui scrive.
Abbozza semplicemente canovacci e battute, materiali che sfiorano la casualità, parole che si fanno strumento d’indagine. Poi ascolta gli attori, dentro e fuori il palcoscenico.
Ed è quell’ascolto che determina la portata degli interventi successivi sul testo. Interventi che possono andare dalla leggera correzione al rogo.
Dovrebbe dunque abbandonare qualsiasi velleità letteraria e farsi “penna” teatrale.

Lavorare per la scena e fottersene della pagina.

Va da sè che per tutto ciò sarebbe necessaria un’ esperienza di palcoscenico.
Anzi, qualcosa di più che esperienza; direi una certa confidenza.

Mi scuso ora con tutti gli affermati drammaturghi  per i miei piccoli pensieri, stimolati dalla  grande (ed anche piccola) lezione di Mejerchold’.

 

V.Claudienko

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