Contenuto e forma
L'amico Matteo pone una questione.
In teatro ha senso porsi il problema del rapporto tra forma e contenuto? È una domanda oziosa? Spesso temo di sì. Il fatto è che me la fanno. E io non so rispondere. O forse non capisco la questione. O forse la capisco ma mi distraggo subito. Al massimo sospiro la mia sconfitta.
A volte mi sembra che c’entri con questo:
“Appena un artista ha trovato il vivo centro della sua attività, nulla per lui è così importante come mantenervisi. Il suo posto non è mai, neanche per un attimo, accanto allo spettatore e al critico”.
(Rilke)
Matteo
Quel che dice Rilke è sacrosanto ma va meditato.
Quando si parla di contenuto e forma si fa spesso l’errore di immaginare due cose diverse, come se la forma fosse il contenitore, la confezione.
Direi piuttosto che bisogna vederla così : la forma è l’aspetto che il contenuto assume.
Solo in questo caso, e cioè intesa come “conseguenza” del contenuto, la superficie della forma sarà esplorabile all’infinito.
Prendi un granello di sale, la sua forma la vedi, se vuoi puoi adoperare un microscopio e perdertici, oppure puoi provare a metterlo in bocca per avere un’esperienza del suo contenuto. In questo caso contenuto e forma si dissolveranno e questa è la prova che erano anche la stessa cosa.
L’esplorazione della forma è importante, pertiene allo spettacolo e costituisce la materia dello “studium”.
Credo sia ora utilissimo saccheggiare Barthes (quando rubo lo faccio a man bassa e sconsideratamente).
Dunque proviamo ad associare l’idea di studium all’idea di forma e quella di contenuto all’idea di punctum.
Non è affatto un caso che Rilke parli di “centro vivo”. Barthes parla infatti del punctum come di un aspetto di ordine “emotivo” che irrazionalmente “colpisce”.
Dunque lo studium è una superficie inerte, attende che lo “spectator” si muova per primo verso di lui. Mentre invece il punctum parte e colpisce di sua iniziativa, è, cioè, vivo.
Dunque il ruolo dello spectator è attivo e passivo nello stesso tempo. Lo spectator (ideale) sa che può indagare, oppure attendere di essere colpito da “come” lo spectrum (attore) lavora intorno al suo centro, che sarà vivo solo se l’attore ci lavorerà (proverà, cercherà) proprio in quel momento, sotto lo sguardo dello spettatore.
Attore e spettatore consapevoli di tutto ciò, possono entrambi ben sperare che in una riunione di lavoro, il teatro, a tratti, faccia la sua comparsa.
V. Claudienko
Caro amico Matteo,
mentre facevo questo piccolo quadretto che ho chiamato TANZ, mi è venuta una domanda.
Io dico che la “forma” è: “l' aspetto che prende il contenuto”, cioè una specie di conseguenza del raggiungimento del punctum e naturalmente parlo di teatro.
Ma io chiedo a te che sei conoscitore di movimento che nasce libero e puro(?):
che cos' è la forma per la danza? (è forse proprio la forma il suo punctum?)
V.Claudienko
Della danza ho in realtà un’esperienza che non ritengo sufficientemente profonda, ma incoraggiato faccio un tentativo. Per farlo cerco e vado a pescare anche nelle arti marziali, che conosco un poco, e dico che la forma in realtà è uno strumento di studio, un parametro ripetibile, o meglio un’illusione di ripetibilità che si infrange nel momento in cui viene tentata. Ogni volta che viene ripetuta una tecnica, una forma, un passo, è identica solo a sé stessa. Ed è già finita. La forma è un punto di riferimento apparentemente immutabile che va reso vivo ogni volta, ogni istante.
Sciocco sarebbe pensare di fermarla.
Sciocco pensare di poterne fare a meno.
Mi sono permesso di chiedere a un amico e Maestro, Michele Di Stefano, coreografo e danzatore. Riporto la sua risposta:
"…la mia risposta è che la forma non c’è - o meglio è un incidente necessario – danzare riguarda il momento di transizione tra una forma e l’altra, dunque sia in entrata che in uscita. danzare riguarda quasi esclusivamente il tempo, il calcolo del tempo d’accesso e fuga, la forma è solo uno dei tanti luoghi possibili di questa balistica e va intesa come spazio. danzare è una condizione del tempo, la forma una complicazione dello spazio…"
Matteo